Digitale e bambini: app per fare cosa?

Continuiamo il nostro viaggio nel dibattito su digitale e bambini. Ci siamo lasciati con molte domande: quanto tempo è opportuno che i bambini trascorrano davanti allo schermo? Ma anche e soprattuto: il digitale viene utilizzato dai bambini per fare cosa? E ancora: in quali contesti?

Se da una parte, i giochi cosiddetti “addictive”- da cui bambini e adulti fanno fatica a staccarsi e sui quali si ributtano a giocare appena possibile – piacciono molto al “mercato”, dall’altra sono ampiamente criticati quando si parla di app educative. Sempre più spesso, nel dibattito e in letteratura emerge il tema della dipendenza da digitale, smartphone, internet (un recente articolo su Startupitalia sottolinea i rischi per i più piccoli, mentre questo video parla della dipendenza dei millenial dai social).

E’ proprio qui che secondo noi subentra il tema del contenuto. Sempre tenendo a mente quello che sostiene l’Associazione dei Pediatri Americani, cioè che il tempo sullo schermo non deve andare a detrimento di altre aree di sviluppo del bambino:  studio, socialità, sport, sonno. Ma se un ragazzino passa molte ore su un sito che gli insegna a programmare, è probabile che stia acquisendo delle competenze che potrebbero essergli utili in futuro; lo stesso se gioca con app che gli insegnano rudimenti di matematica, fisica o storia. E ci sentiamo di aggiungere: anche se gioca con una app che lo stimola nel confronto con ciò che lo circonda, e che rimanda continuamente al mondo reale, sollecitando curiosità e domande.

Altro tema è il contesto: un altro ambito nel quale allo strumento digitale viene riconosciuta indiscussa valenza positiva è quello delle app senza le quali i bambini con disabilità  non avrebbero il medesimo contatto con il mondo (si veda il bell’articolo  When screen time became e life line: How Technology Impacts Children with Special Health Care Need su TocaBoca, ove si descrive quanto l’Ipad abbia cambiato la vita di un bambino affetto da autismo che, grazie all’app Proloquo, riesce a esprimersi).

A sostegno di una visione equilibrata del tema, ci viene di nuovo incontro Sonia Livingstone (vedi articolo precedente) che ci informa che non c’è stata alcuna impennata di suicidi o malattie mentali a seguito della diffusione dei mezzi digitali fra bambini e adolescenti. Anzi: più i bambini sono precocemente competenti nell’uso della tecnologia, più aumentano le loro opportunità professionali e di crescita nella vita.

Riguardo ai due binomi rischio/danno e opportunità/beneficio, la Livingstone sottolinea che è necessario abbandonare, anche nel linguaggio politico, la semplificazione che vede nelle giovanissime generazioni, “i nativi digitali”, delle vittime. Serve insomma una riflessione politica e sociale che inneschi un adattamento, ed è necessario che i bambini siano accompagnati in questo percorso “come in tutta la loro educazione“ dalla famiglia e dalla scuola.

E qui veniamo al dunque.

Perché la famiglia e la scuola possano proporre prodotti di qualità, con contenuti e modalità  adatte e sicure, è necessario che maturino una competenza.

Sta agli educatori, in famiglia e non, selezionare e proporre prodotti di qualità, progettati e pensati per bambini, non per adulti. E agli sviluppatori ed editori digitali di app cosiddette educative maturare un senso di responsabilità  che metta la qualità  dei contenuti e l’attenzione al bambino prima di tutto.

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