Insegnanti, scuole, digitale e musei: quali sinergie?

di Maria Elena Colombo

Durante la primavera scorsa ho fatto l’esperienza di tenere un corso di aggiornamento per insegnanti presso il Museo del ‘900 a Milano.

Il tema, un po’ schematicamente, era stato individuato in “Musei e digitale”. In un paese nel quale la diffidenza culturale nei confronti del digitale tout court è ancora sensibilmente alta, mi sono fatta molte domande per capire che direzione prendere.

Se l’introduzione della LIM dota, ove più ove meno diffusamente, gli insegnanti di uno strumento, potenzialmente anche adatto all’interazione con gli studenti, quali sono i contenuti ai quali possono attingere? Quali le dinamiche da modificare nella lezione frontale?

Perché il tema poi, è sempre quello: quali contenuti e modi.

Ho provato allora a organizzare i materiali disponibili in categorie funzionali, che rendessero più facile sbrogliare la matassa. Lo scheletro della presentazione è forse ancora una base sulla quale lavorare.

_ In primo luogo si può identificare il digitale come risorsa, fonte di idee. I rimandi sono quasi interamente a musei di cultura anglosassone: gli esempi sono Tate Kids, Met kids o, in modo diverso, anche il Moma; rilevo che mancano esperienze nazionali paragonabili per densità e ampiezza.

Tate kids o Met kids propongono sui siti web dei due noti musei una varietà di contributi modulati per fascia d’età e tipologia; alcuni di questi sono pensati perché l’insegnante vi si ispiri, lavorando su di sé, per proporre una attività manuale e creativa ad un insegnamento teorico. Ad esempio, si parla della tessitura e si produce un piccolo telaio con materiale di facile reperimento. Si parla dell’invenzione della fotografia e si può giocare con la carta chimica (legando i famigerati lavoretti all’insegnamento in senso stretto e superando l’idea che digitale sia solo digitale) .

Sono disponibili in diverse modulazioni e varianti, sui medesimi siti, i documenti per poter preparare un piano di lezioni organico, diviso per fasce di età che comprendono la scuola primaria e non solo (si veda anche il caso della National Gallery di Londra).

Le sezioni suddette intendono accompagnare l’alunno anche a casa: su Tate kids ciascun bambino può selezionare le opere preferite, riprodurre e caricare le sue copie o suoi soggetti ispirati ai capolavori, condividere gli uni e gli altri. Sono dunque uno strumento adatto per i bambini (con tanto di disclaimer per i genitori in merito alla sicurezza) e per le famiglie, da usare  – anche – a casa in continuità con l’attività didattica condotta in classe (sono disponibili on line numerosi giochi).

La sezione dedicata ai bambini del Metropolitan Museum è ricca di video (è l’unico strumento utilizzato, fatta eccezione per la strepitosa Time machine) e prevale certamente la sollecitazione all’esperienza creativa manuale, ma con una sezione di Q/A nella quale si spiegano alcuni concetti chiave ai bambini rispondendo alle loro domande (“Può un artista rompere le regole?” “Come fa il museo a prendersi cura della collezione di armature?” “Come si crea una mummia?”)

_ Il digitale può ovviamente essere uno strumento di supporto alla visita in museo, prima, durate e dopo. Ricorderete tutti il lungo peregrinare con commenti dal sapore di “memento mori” della foto che ritrae alcuni ragazzini davanti alla Ronda di notte di Rembrandt al Rijskmuseum.

Ecco, stanno conducendo un’attività di approfondimento sull’app del museo. Anche in questo caso sono numerosi gli esempi di stampo anglosassone, ma ci sono ottimi casi anche in Italia, come le app (in due lingue) prodotte da ArtStories per i più piccoli, dedicate al Castello Sforzesco, al Duomo e a Palazzo Marino a Milano, che mescolano sapientemente e con grande cura dei dettagli contenuto e forma. Il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci a Milano ha sviluppato la visita con la cardboard al sottomarino Toti; Sky arte ha proposto app semplici per una serie di istituzioni, dedicandole ai più giovani. Solo per fare alcuni esempi.

L’app del MoMA di NY prevede contenuti audio anche dedicati ai bambini, differentemente modulati rispetto a quelli dedicati agli adulti.

_ Il digitale può essere però anche strumento di progetto, anche partecipato: i casi che mi sono noti e che preferisco sono Detto tra noi, dedicato agli adolescenti, con una stretta collaborazione ed un lungo lavoro con le scuole, prodotta da Palazzo Grassi/Punta della Dogana: è divenuta un’esperienza punto di riferimento; un caso invece in ambito lettura è lo straordinario esempio di Tw Letteratura nata a Torino, ma credo che sull’utilizzo e la condivisione via social network in classe ci siano ancora molti passi da fare, in particolare riguardo la fascia d’età che rende legittimo e sicuro il loro uso.

_ Il digitale può essere anche strumento di produzione e rappresentazione del mondo per mano dei bambini: si sono moltiplicati i momenti di formazione; i bambini possono stare davanti al codice, ma anche dietro al codice durante i Coderdojo (che, per esperienza personale, tanto entusiasmano i giovanissimi geek).

Alcune questioni sono aperte: quali esperienze sono condivisibili tra l’insegnante e gli alunni sulla Lim? a quale età? di quali altri supporti – individuali – si può o potrà disporre? A che età è lecito servirsi dei social network? Quale condivisione è possibile con le famiglie?

Nell’Agenda per nuove competenze e per l’occupazione, l’Unione Europea, già nel 2011 segnalava come fosse vitale educare a un utilizzo critico dei mezzi digitali, e a una formazione che fornisse anche i fondamentali strumenti informatici: vale a dire, almeno la dimestichezza con selezione e utilizzo di strumenti.

In occasione della lezione dalla quale sono partita con questo racconto ho sentito l’esigenza di confrontarmi con Federica Pascotto e Giovanna Hirsch, di Artstories, i miei riferimenti in tema di digitale e bambini.

Con loro, che già lavoravano all’elaborazione di un progetto sperimentale per le scuole, gli insegnanti e i bambini, collaboro ora per rispondere ad alcune delle domande che ci siamo fatti. Il loro progetto – Bartolomeo –, finanziato da Fondazione Cariplo, verrà lanciato al Salone del libro di Torino: è la proposta tutta italiana, gratuita, on line che – sul solco delle best practice internazionali – va a colmare un vuoto.

 

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